Cambiamento climatico e risorse naturali nell'Artico

  • Temuu Palosaari
Parole chiave: Cambiamento climatico, Artico, Sicurezza

Abstract

L’Artico suscita un interesse sempre maggiore grazie alle vie marittime e alle risorse naturali rese via via disponibili dallo scioglimento dei ghiacci. I numeri sono eloquenti: la rotta che da Tokyo arriva ad Amsterdam percorre 23.000 km via Panama e 21.000 via Suez, che scendono però a 15.500 se si attraversa il Passaggio a nord-ovest (costa settentrionale del Nord America) e a 13.500 se si seguono le coste settentrionali di Norvegia e Russia. Ciò significa un notevole risparmio in termini di tempo (dai 10 ai 15 giorni), di carburante e di tasse sul passaggio. Forse, però, i dati più importanti riguardano petrolio e gas: l’Artico racchiude il 13% e il 30% delle rispettive riserve non ancora scoperte ma tecnicamente recuperabili. Quando si tratta di politica artica, le parole chiave sono quindi cambiamento climatico e risorse naturali. L’Artico è diventato la nuova “zona calda” della politica internazionale.

Nonostante le vaste riserve fruibili presenti nei suoi fondali, però, l’Artico rimane un’area pacifica. “Corsa alle risorse”, “Cold Rush”, e “nuova Guerra fredda” sono titoli accattivanti apparsi spesso tra le notizie dell’ultimo anno. In ambito accademico, però, l’opinione più diffusa e condivisa fra gli studiosi di Artico è che la cooperazione internazionale stia funzionando bene nella regione e che quindi è probabile che essa rimanga stabile anche nel prossimo futuro. Il consenso e la fiducia nella gestione pacifica della questione artica sono sorprendenti considerato il mix tra cambiamento climatico, crescente interesse globale, abbondanza di risorse naturali e maggiore domanda globale.

L’Artico può essere infatti presentato come il primo caso in cui la legislazione internazionale sembra effettivamente funzionare in modo efficace. Gli stati che si affacciano sull’Oceano Artico – Canada, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Danimarca/Groenlandia – stanno mappando il fondale marino al fine di presentare prove scientifiche alle Nazioni Unite. Solo a quel punto la Commissione per i limiti della piattaforma continentale delle Nazioni Unite sarà in grado di elaborare raccomandazioni sui confini marittimi. Il possesso di minerali, petrolio e gas sottomarini sarà quindi definito in base al diritto internazionale. Gli stati costieri hanno espresso congiuntamente l’intenzione di seguire la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

Ma perché gli stati costieri concordano su questo aspetto piuttosto che cercare di accaparrarsi tutto il possibile? Osservando una carta geografica e individuando le aree da cui è tradizionalmente estratto il petrolio è possibile dedurre una valida spiegazione: oggi le risorse petrolifere si trovano spesso in luoghi dove tensioni politiche, sociali e economiche non sono insolite e il rischio di violenza è alto. Per contro, quella dell’Artico è una regione stabile e pacifica. In termini di produzione di energia e prospezione di gas e petrolio, mantenere tale situazione è tanto negli interessi nazionali degli stati costieri quanto in quelli economici di imprese nazionali e multinazionali. Sono infatti le stesse compagnie petrolifere e del gas a fare pressioni sui governi affinché essi concordino sui confini marittimi e seguano le convenzioni internazionali in modo tale da garantirsi costi operativi e investimenti prevedibili – così facendo, ad esempio, le aziende sanno a chi rivolgersi per ottenere i permessi per le trivellazioni o per questioni legate a sicurezza e salvataggio. Esiste già anche un sistema di governance dell’Artico piuttosto sviluppato. A partire dalla fine della Guerra fredda, gli otto stati artici – cioè gli stati costieri già menzionati più Finlandia e Svezia – hanno costruito una rete di cooperazione multilivello in settori quali scienza, economia, cultura, tutela ambientale e turismo. Queste interconnessioni vanno dalla dimensione locale a quella intergovernativa, coinvolgendo municipalità, istituti di ricerca, popolazione locale, università, regioni, governi nazionali e così via.

Alla luce delle ricerche e degli studi condotti in tema di pace e di sicurezza ambientale, il caso Artico sembrerebbe quindi sostenere le argomentazioni e conclusioni secondo cui il cambiamento climatico in combinazione con l’abbondanza di risorse naturali di grande valore non si traduce automaticamente in conflitto. Al contrario, svariati elementi puntano verso una pace negativa duratura, cioè verso l’assenza persistente di violenza nella regione dell’Artico. Eppure il cambiamento climatico colpisce duramente l’Artico, portando con sé inevitabili problemi legati alla sicurezza umana. Cosa succede, ad esempio, alle fonti tradizionali di sussistenza degli Inuit, come caccia alle foche e pesca, quando il ghiaccio marino si scioglie? Dovrebbero partecipare anche loro allo sviluppo delle risorse petrolifere e di gas nonostante i rischi ambientali? Cosa significherebbe questo per il rapporto, molto sentito dagli indigeni, fra territorio, natura e esseri umani? Quali sono le possibilità delle popolazioni locali di influenzare le questioni sull’Artico dal momento in cui la regione diventa un hot spot nelle politiche produttive globali?

Le campagne di svariate ONG ambientaliste per la messa al bando dell’estrazione di petrolio e gas nell’Artico sono state fino ad ora respinte dalla regione con l’argomentazione: “ciò di cui avete beneficiato voi non può essere negato ora a noi”. Le preoccupazioni di carattere ambientale dell’Unione Europea, ad esempio, sono state percepite come una forma di neocolonialismo: il mondo sviluppato ha sfruttato per lungo tempo le risorse petrolifere, ma quando queste vengono trovate sul territorio altrui le popolazioni indigene non sono autorizzate a trarne beneficio.

Di conseguenza, sono emerse nuove questioni etiche sullo sfruttamento delle risorse artiche. Esse riguardano il cosiddetto “Paradosso dell’Artico”: più velocemente verrà usato il combustibile fossile, prima si avrà accesso a nuove risorse petrolifere e di gas. L’uso di energia fossile contribuisce al cambiamento climatico che a sua volta causa lo scioglimento dei ghiacci nell’Oceano Artico rendendo disponibili nuove risorse che, quando usate, accelerano ulteriormente il riscaldamento climatico. La domanda è: ha senso cercare e sfruttare nuovi giacimenti petroliferi e di gas nell’Artico proprio quando l’umanità ha la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica?

Questioni fondamentali nel dibattito etico sul cambiamento climatico globale – come quelle relative ad ambiente e giustizia sociale oppure alla distribuzione degli oneri e dei vantaggi – hanno recentemente trovato posto nella politica artica. Vi sono posizioni contrastanti a questo riguardo che vanno dall’appoggio a un’estrazione illimitata delle risorse alla proposta di messa al bando totale delle trivellazioni. Alcuni pongono l’accento sulla crescita economica e sul diritto delle popolazioni locali e indigene a beneficiare delle risorse naturali, mentre altri sottolineano i rischi ambientali legati all’industria estrattiva e all’energia fossile. Ci sono anche diverse opinioni sulla misura in cui gli stati, le aziende e le persone dell’Artico abbiano la responsabilità di attenuare il cambiamento climatico.

L’Artico sta attraendo un’attenzione sempre maggiore a livello globale. L’innalzamento del livello dei mari nelle zone costiere di tutto il mondo è collegato allo scioglimento dei ghiacciai nell’Artico. È probabile che in futuro non solo le ONG, ma anche gli stati non-artici, metteranno in dubbio la sostenibilità e l’etica dello sfruttamento di petrolio e gas nella regione. In Bangladesh, per esempio, l’innalzamento del livello del mare è accompagnato dallo scioglimento dei ghiacciai himalayani, che insieme causano erosione, inondazioni e intrusione salina nelle falde acquifere e nelle aree di acqua dolce, provocando la perdita di terreni agricoli e foreste di mangrovie. Alla ricerca di nuove terre da coltivare, la popolazione locale si è ritrovata costretta a migrare verso l’habitat naturale delle tigri del Bengala. Il modo in cui il cambiamento climatico minaccia contemporaneamente orsi polari e tigri ben rappresenta la dimensione globale delle attuali questioni legate all’Artico.

PER SAPERNE DI PIÙ:

The Independent Barents Observer, rivista online dedicata a questioni legate all’Artico. Disponibile su: http://thebarentsobserver. com/en

Palosaari, T. (2012) The Amazing Race. On resources, conflict and cooperation in the Arctic. Disponibile su: http://tampub.uta.fi/handle/10024/67984

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